Con «Alice» siamo dinanzi ad un testo che, perlomeno in origine, assolve alla funzione per la quale è stato concepito: costituire una nuova nozione di libro per l'infanzia, ricco di illustrazioni e tipograficamente attraente. Ma a più di cento anni dalla sua pubblicazione (1865), l'identità e il ruolo del testo sono profondamente cambiati. A differenza di altri classici per bambini che, come «Gulliver» o «Robinson» o «Don Chisciotte», sono diventati tali attraverso una vera e propria perdita di spessori significanti, «Alice» sembra aver acquistato nuove dimensioni con gli anni, fino a proporsi oggi come uno straordinario oggetto conoscitivo. Senza perdere il proprio valore di documento che irride alla pedagogia vittoriana, «Alice» costituisce un reperto prezioso per la psicanalisi, la linguistica, la logica, la semiotica. I contributi di queste discipline hanno per altro il merito di aver ricondotto sul testo, sulla sua lingua ironica, sul nonsense, quel tanto di curiosità torbida che si era addensata, per influsso degli psicanalisti americani degli anni Quaranta e Cinquanta, quasi esclusivamente sul suo autore. Allora da oggetto perturbante o da inerte documento «Alice» può mutarsi in oggetto conoscitivo ove ci si sappia appropriare, sulla scorta di preziose indicazioni (da Empson a Deleuze), di una straordinaria occasione didattica che ha il merito di imporre, di per sè, un approccio interdisciplinare. E riproporre «Alice», questa volta con il testo a fronte, è naturalmente un invito e l'occasione di una riscoperta.