Joyce definiva Gente di Dublino «il figlio che ho portato per anni nel grembo dell'immaginazione»: in effetti i quindici racconti che compongono il libro erano già terminati nel 1906, ma vennero rifiutati - per la loro audacia e il loro corrosivo realismo - da una quarantina di editori e dovettero attendere fino al 1914 prima di essere pubblicati. Ispirandosi alla vita quotidiana dei suoi concittadini, Joyce vi ritrae personaggi le cui esistenze sembrano paralizzate dai flagelli dell'inerzia spirituale, dell'ipocrisia, della simonia che affliggono la sua città, ma nei quali si riflettono tipi e caratteri sostanzialmente universali, giacché Dublino vi appare come rappresentazione su scala ridotta dell'intero mondo occidentale. La struttura del libro, inoltre, non è casuale, bensì ideata in modo che ogni racconto metta a fuoco momenti fondamentali della vita dell'uomo: così alcuni sono dedicati alla fanciullezza, altri all'adolescenza e alle sue frustrazioni, altri ancora alla maturità e all'impegno sociale del cittadino. Se il linguaggio, lo stile e la tecnica sono ancora prudentemente ancorati ai moduli della narrativa naturalistica, questi racconti sono tuttavia il primo segmento di quell'itinerario poetico e ideologico che sarà portato alle estreme conseguenze nell'Ulisse e nel Finnegans Wake, dove attraverso una fitta rete di echi, allusioni e risonanze, Joyce ricostruisce addirittura la storia dell'intera umanità. Gente di Dublino costituisce quindi una lettura obbligatoria per chi voglia penetrare nel mondo poetico di Joyce, oltre che l'indispensabile introduzione a una delle esperienze letterarie più radicali del nostro secolo.